giovedì 23 marzo 2017

"Aeroplani di carta" di Dawn O'Porter [BlogTour]

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
La chiacchiera librosa di oggi è dedicata alla mia tappa del blogtour di "Aeroplani di carta" di Dawn O'Porter, edito Safarà Editore (brossurato a 14,90€):
A metà degli anni '90 Renée e Flo, studentesse dell'isola di Guernsey, non sembrano destinate a diventare amiche. Introspettiva e studiosa, Flo non potrebbe essere più diversa dall'estroversa e sessualmente curiosa Renée. Ma Renée e Flo sono unite dalla solitudine e dalle loro famiglie disfunzionali, e su questa base scaturisce un legame intenso e inaspettato. Anche se ci sono ostacoli alla loro amicizia, quindici anni è un'età in cui tutto può accadere. "Aeroplani di carta" è un romanzo grintoso, struggente, spesso divertente e di grande potenza. Un'istantanea indimenticabile dell'adolescenza in una piccola città e del dirompente potere dell'amicizia al femminile.

Non vedevo l'ora di parlarvi di questo romanzo che mi ha catapultata dritta dritta negli anni Novanta.
Sono tornata ai tempi del chocker arricciato in plastica, dei roll-on carichi di glitter, delle scarpe con la zeppa e delle Spice Girls, insomma.
Ma soprattutto ho scoperto un'autrice che ha saputo coinvolgermi da subito nelle vite delle sue protagoniste.
Oggi condividerò con voi tre estratti che mi hanno particolarmente colpita (evitando accuratamente quelli che sarebbero spoiler di dettagli cruciali), e poi seguirà una bella chiacchiera su quella coloratissima e rumorosissima decade che sono stati gli anni Novanta.
Cominciamo da un passaggio che mi ha particolarmente colpita in cui Renée condivide con il lettore una sua abitudine segreta che la fa sentire ancora vicina, anche se solo per qualche istante, alla mamma persa troppo presto:

«Con la porta del bagno chiusa apro il cassetto dei trucchi di mamma.
È ancora come lo ha lasciato otto anni fa. Il profumo Chanel No5 esala all’esterno. Il suo pennello da fard ancora rosso sulle punte, esattamente dello stesso colore che avevano le sue guance. Chiudo gli occhi e me lo passo sopra il viso. Mentre le setole mi solleticano il naso tutti i peli del mio braccio si rizzano, e una densa lacrima cade dal mio occhio e atterra sul labbro superiore. Non so perché alcune mattine mi esce una lacrima e altre mattine no. Forse ha qualcosa a che fare con i miei sogni. La scorsa notte ho sognato che mamma non era veramente morta, che aveva solo avuto dei problemi con la polizia e che si era nascosta finché non avessero smesso di cercarla. Mi sono svegliata nella notte convinta che fosse vero, poi ho realizzato che non poteva esserlo perché ero nel letto nella sua vecchia stanza, la stanza dove era morta. L’ultimo posto dove l’ho vista.
Adoro il cassetto di mamma. Il fatto che nessuno abbia buttato via niente prova che stiamo tutti aggrappati a qualcosa. Questa prova è confortante perché nessuno lo direbbe mai ad alta voce. So che anche gli altri ci guardano dentro perché a volte appoggio un capello sopra i suoi trucchi e per fine giornata è già stato spostato.
Il cassetto è come un altare in chiesa. È sacro. Liberarsi del cassetto di mamma sarebbe l’ultimo stadio prima di lasciarla andare. Nessuno di noi è pronto a farlo.»

Il secondo estratto è dalla scena del funerale del padre di Flo, che viene a mancare improvvisamente. Evento importantissimo nel libro perchè ulteriore motivo che avvicina Flo e Renée:

«So che ci sono un sacco di persone sedute dietro di me nella cappella ma non riesco a girarmi. Ho pianto così tanto e davanti a così tante persone nel corso di questi ultimi cinque giorni che non riesco più a sopportarlo. La testa mi fa male, come quando mangi il gelato troppo velocemente. Ho gli occhi così rossi che mi domando se sarà permanente, e ho la pelle secca attorno alle narici per essermi soffiata il naso così tanto.
Membri della famiglia sono venuti a casa per tutta la settimana. La maggior parte li avrò incontrati una volta al massimo in tutta la vita, soprattutto da bambina, quindi non mi ricordo per niente di loro. Mi hanno tutti fatto le condoglianze e mi hanno detto quanto dev’essere orribile per me, essere l’ultima persona della famiglia ad averlo visto vivo.
Dovrebbe farmi sentire meglio o più in colpa? Perché in tutta one- stà sono in preda ai sensi di colpa e niente di quello che dicono mi sta aiutando. Non avrei dovuto lasciarlo. Avrei dovuto andare a vivere con lui, per tirarlo su di morale. Abi sarebbe stata bene, avreb- be passato più tempo con noi. Avrei cucinato per lui e l’avrei fatto ridere, l’avrei fatto sentire meglio. Aveva solo bisogno di un po’ di  ducia in se stesso, poi sarebbe stato bene. Ma ho scelto la casa grande invece del suo cuore grande e mi odio tantissimo per questo. La sorella di papà, Ada, che gli aveva detto che non gli avrebbe più parlato se avesse sposato mia madre, come è successo, mi ha rassicurata che non avrei potuto fare niente per fermare il suo attacco di cuore. Ma penso che alla mamma piaccia l’idea che io pensi che avrei potuto.
L’unica persona in casa che non mi addolora è Abi. Non è al funerale, è l’unica cosa su cui eravamo d’accordo.
La bara di papà sembra troppo piccola. Era un uomo grande, di quasi un metro e novanta, con le spalle larghe, quindi perché la bara non è più grande? È il tipo di domanda che gli avrei fatto se fosse qui. Cioè, se fosse qui e vivo, ovviamente.
«Siamo qui riuniti oggi per dire grazie per la vita di Marcus Walter Parrot. Padre di Julian, Florence e Abi, e amorevole marito di Theresa».
Mi blocco nel sentire il nome di mia madre. Mi è dif cile guardare il parroco perché è in piedi troppo vicino alla bara. So che se la guardassi le lacrime tornerebbero e il pensiero di piangere mi fa dolere la testa ancora di più. Tengo la testa bassa e leggo il programma imbastito da zia Ada.
Sulla copertina, proprio sotto il nome di mio padre e alle date 1953-1994, ha scritto le parole:
Beati gli afflitti, perché saranno consolati. 
Beati i mansueti, perché essi erediteranno la Terra. 
(Matteo 5:4.)
Beati i mansueti? Papà era mansueto ed è morto, come può essere beato?»

Infine, non posso non inserire tra gli estratti il breve componimento di Renée sull'importanza di avere amici e familiari accanto a te, soprattutto nei momenti più difficili della vita:

«Quando le persone sono tristi, quello di cui hanno bisogno è attenzione. Non quel tipo di attenzione per la quale si deve dire quanto sono fantastici in continuazione. Solo il tipo di attenzione grazie alla quale sanno che, se dovessero avere bisogno di te, tu ci sarai. Io vorrei quel tipo di attenzione. Non mi interessa l’altro tipo, anche se tutti pensano il contrario.
Quando qualcosa di orribile succede a qualcuno la cosa peggiore che si possa fare è rimproverarli, o accusarli di essere cattivi, o farli sentire in colpa per cose che hanno fatto e di cui sono dispiaciuti, perché si possono fare delle cose molto sbagliate ed essere molto dispiaciuti. Dovrebbero semplicemente ascoltarli, e parlare, perché quando non si parla tutto si accumula dentro di te come una pentola che bolle con un coperchio sopra. Tutta quell’acqua esce dai lati ma il coperchio non si toglie. È così. La vita è proprio come l’acqua che esce dai bordi di una pentola.
Penso che amici e familiari siano quelli che possono togliere il coperchio, in senso buono.»

Sembra un romanzo triste, ma la verità è che l'autrice è stata molto abile nel raccontare come, da due solitudini, possa nascere una forte amicizia, ricca di momenti di gioia e di divertimento.
È anche questo a rendere "Aeroplani di carta" un libro che andrebbe assolutamente scoperto.
Questo, e il viaggio nella memoria che mi ha fattoinvolontariamente fare, tra mix musicali registrati su musicassette e scarpe con la zeppa.
Davvero, ve le ricordate queste?
Non ne ho mai avuto un paio perchè troppo costose, ma guardando indietro forse è stato meglio così... queste si portavano con i pantaloni svasati alla caviglia, vagamente Seventies ma non troppo, e quelli sì che li ho avuti!
Rigorosamente Onyx. Perchè negli anni Novanta c'erano la Onyx e le sue bamboline dalla testa enorme riprodotte senza tregua su canotte, top e t-shirt.
Erano anche gli anni di "Clueless", e chi non ha sognato un guardaroba come quello di Cher?
Le protagoniste di questo filme rano svaporate, ricche, bellissime e, soprattutto, si accompagnavano a un giovanissimo Paul Rudd!
E che dire del sopraccitato chocker in plastica?
Questi erano terribili, eppure ne avevamo tutte almeno uno. Ne si poteva trovare uno in ogni numero o quasi di giornali come Cioè, Pop's, Top Girl, e non solo in nero.
Perchè vuoi non averlo anche rosa acceso o arancione evidenziatore?
Per associazione mi vengono in mente anche i ciondoli a ciuccio in plastica colorata: credo di averne ancora qualcuno sparso per casa.
Ma degli anni Novanta ricordo soprattutto la musica.
Quella pop tendente al (o decisamente) trash, dai backstreet Boys alle Spice Girls, passando per Britney Spears e gli N'Sync.
E gli Aqua, chi non ricorda al loro "Barbie Girl"?!
#SoloCoseBelle, insomma.
Dal passato con amore.

Non solo torno a consigliarvi la lettura del libro di Dawn O'Porter (potete scoprire qualcosa in più anche qui), ma vi chiedo cosa ricordate voi con maggior affetto o maggior terrore degli anni Novanta.
Qual'era la vostra fissazione, o cosa proprio non vi piaceva nonostante fosse di moda?
Raccontate e soprattutto tirate fuori gli scheletri dall'armadio ;)

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

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