lunedì 7 novembre 2016

Chiacchierata con Naomi Wood, su "Quando amavamo Hemingway", sul fascino di un uomo tormentato e sulle donne-faro

Buongiorno a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
Oggi vi propongo l'intervista che ho avuto modo di fare insieme ad altri giornalisti e blogger a Naomi Wood, autrice di "Quando amavamo Hemingway", edito Book Me (rilegato a 16,90€):
La prima è Hadley, la moglie dei giorni "poveri e felici" che precedono la fama e il successo. Hadley nel minuscolo appartamento a Parigi - due sedie soltanto, uova sode per pranzo e un freddo da battere i denti; la stessa che alla Gare de Lyon, in un momento di distrazione, perde irreparabilmente la valigetta contenente i manoscritti del marito. Poi c'è Pauline, per tutti Fife, dal fisico acerbo e perfetto, ricchissima ed elegante, inevitabile fin dall'istante in cui gli appare avvolta in un soprabito di cincillà. Dopo viene Martha, reporter leggendaria, compagna coraggiosa nel cuore della Guerra Civile Spagnola. E infine Mary, l'ultima - sposata a Cuba e abbandonata nell'Idaho in modo persino più crudele e definitivo delle altre. Hadley, Fife, Martha e Mary: sono le "Signore Hemingway" cui dà voce questo romanzo. Quattro mogli, quattro donne tra le tante amate e tradite dallo scrittore più famoso e tormentato della sua generazione. Tra la Parigi degli Anni Venti e Key West, tra Cuba e l'America della Guerra Fredda, le quattro Mrs. Hemingway si passano il testimone per raccontare una storia vera densa di passioni e tradimenti, di intrighi, ambizioni e gelosie. Perché dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna. E qualche volta persino più di una.

Adoro Hemingway da quando ho letto "Addio alle armi" in estate parecchi anni fa su un vecchio Oscar Mondadori sciupato, e da lì è stato un attimo recuperare ogni suo scritto.
Non potevo perdere l'occasione di incontrare un'autrice che, per scrivere il suo romanzo, ha letteralmente respirato Hemingway per mesi.
Riporto per voi la nostra chiacchierata, sperando che vi incuriosisca sia riguardo al romanzo sia riguardo alla figura di Hemingway.

Cos'ha fatto scattare il desiderio di fare ricerca su un personaggio come Hemingway e sulle donne della sua vita?
Sono sempre stata una fan della sua produzione letteraria ed ero particolarmente attratta dal suo stile scarno, semplice ed economico, ma il clic è scattato leggendo le lettere d'amore che ha scritto alle sue donne nel corso della vita, in cui il tono della sua scrittura, ed il modo di narrare, cambiano completamente rispetto ai romanzi. Troviamo una prosa sensuale e sentimentale, con tantissimi nomignoli, e ho pensato che questo fosse un ottimo punto di partenza per costruire un ritratto inedito del personaggio Hemingway.

Come definiresti Hemingway come marito?
Come marito dev'essere stato senz'altro orribile, ma questa è una delle domande che mi sono posta di più durante la scrittura.
Se lui fosse stato sempre mostruoso non ci sarebbe stata una ragione perchè queste quattro donne, che comunque erano tutte assolutamente valide, restassero con lui così a lungo, e quindi mi sono proprio chiesta: perché sono rimaste lì nonostante i maltrattamenti e i tradimenti?
In questo senso, ho cercato di mostrare anche il suo lato generoso e più amabile, e anche il fatto che lui, comunque, oltre a spingere e sostenere se stesso e la sua produzione ha sempre cercato di fare lo stesso anche nei confronti delle mogli. Ho tentato di rispondere a questa potenziale domanda dei lettori nel momento in cui scrivevo il libro, anche quando sostenere un uomo come lui sembrava andare oltre i propri limiti.

Nel libro si racconta la vita delle quattro mogli, due delle quali hanno dato a Hemingway complessivamente tre figli, ma di questi figli non si parla quasi mai, come se le donne fossero molto concentrate sul marito, che assorbiva così tanto le loro energie da non lasciare molto spazio per i figli. È così?
Sì, per due ragioni. La prima è che questo è un dato di realtà, perché soprattutto Pauline, la seconda moglie, era talmente ossessionata dalla felicità di Ernest che non si è mai curata particolamente dei figli. Il fatto poi che lo scrittore volesse avere un ritmo di vita sostenuto e avventuroso, a cui era impossibile far partecipare anche i figli, e che non amasse per nulla la routine domestica, ha imposto alla donna una scelta, che ha finito per favorire il marito a discapito dei figli.
La seconda ragione è che tutti i personaggi di cui si parla nel romanzo sono morti, ad eccezione di Patrick, il maggiore dei due figli avuti da Pauline, per cui, nel timore di suscitare in lui reazioni di tipo legale, ho preferito parlare il meno possibile di lui e dei suoi fratelli. Patrick Hemingway è un uomo misterioso e molto ricco, che vive in Minnesota e non volevo rischiare di essere magari citata in tribunale per aver scritto cose che gli risultassero sgradite.

In un'intervista hai dichiarato che il trenta per cento della storia è inventato.
Non avevi paura di inventare, e dove ha lavorato di più di fantasia?
Sono partita senz'altro dai dati disponibili e ho cercato di essere il più aderente possibile ai fatti storici, cercando anche di rendere giustizia alle persone coinvolte nella vicenda, però ci sono degli elementi di fiction. Ad esempio, ho letto una frase pronunciata veramente da Mary che aveva incontrato Martha a una festa. Martha era arrivata attorniata da due piloti polacchi e portava un collo di volpe molto vistoso, e mi sono chiesta subito questi due piloti cosa potessero dirsi. Su questo tipo di scelta, quanto inventare e quanto no, ho passato delle notti insonni e poi sono arrivata a un compromesso con me stessa: settanta per cento di fatti reali e trenta per cento di elementi inventati per me poteva essere un buon compromesso, e alla fine sono stata soddisfatta del risultato.
Nella ricerca fatta per scrivere il libro c'è qualche particolare che hai scoperto e che hai preferito omettere?
Non c'era nulla che avrei scelto di non inserire, più che altro è stata una questione di spazi, per cui ho dovuto operare delle scelte. Riguardo al sesso, però, devo dire che non me la sono sentita d'inserire delle descrizioni troppo intime ed esplicite, non perché scrivere scene di sesso mi crei problemi, ma per il tipo di personaggio, questo maschio alfa estremamente virile, che forse rischiava di apparire bizzarro, o buffo.

Qual è la moglie che hai amato di più e che in qualche modo riflette qualcosa di tuo? 
E che tipo di commenti sono arrivati da lettori di sesso maschile?
Sicuramente ho sentito la maggiore vicinanza con Pauline Pfeiffer, la seconda moglie, che all'inizio mostro, e spero di essere riuscita a rappresentare bene, come il nemico numero uno, ma con la quale già nel secondo capitolo entro in maggiore empatia, per varie ragioni.
In "Festa mobile" Hemingway parla di lei marcandola negativamente in modo molto esplicito, come una specie di diavolo in gonnella, e lei è l'unica delle mogli che non ha avuto la possibilità di raccontarsi perché è morta prematuramente.
Per quanto riguarda i pareri maschili, molti lettori uomini mi hanno accusato di aver tolto Hemingway dalla gogna troppo presto, di essere stata troppo empatica con lui e che avrei dovuto lasciarlo a lungo sulla graticola.
Quale delle quattro mogli invece è più antipatica?
Io le ho amate tutte allo stesso modo però quella di cui è stato più difficile scrivere è sicuramente Martha, perché su di lei esiste una ricchissima documentazione, per cui mi sono rimasti pochi spazi creativi e per me è stato più difficile "romanzare".

In un'intervista hai detto che in questa storia non erano tanto le mogli le vittime quanto lo stesso Hemingway, perciò volevo sapere il perché.
In realtà lui è stato soprattutto vittima di se stesso e nessuna di loro è stata  nei suoi confronti. Lo svilupparsi di uno stato d'animo depressivo e paranoide e l'attenuarsi di tutti i piaceri della vita sono stati un suo problema molto personale. Le mogli vi hanno preso parte ma è stato lui la vittima dei propri stati d'animo.
Quanto hai letto di meramente storico e documentario e quanto di altri libri sotto forma di romanzo scritti su Hemingway e le sue  mogli, come per esempio "La moglie di Parigi" (di Paula McLain, concentrato su Hadley, la prima moglie, ndr)?
Probabilmente ho letto troppo, fino a essere quasi ossessionata. In un certo senso mi sentivo la quinta moglie e ho letto tutte le opere di Hemingway e di Martha Geldhorn, e in questo modo ho tentato di potermi muovere all'interno della mia capacità inventiva basandomi su tutti i fatti di cui ero certa. Invece la parte più letteraria e di fiction l'ho affrontata molto più tardi nel processo di scrittura perché non volevo esserne influenzata.
Una delle relazioni più importanti della vita di Hemingway, a parte quelle con le mogli, è stata quella con F. S. Fitzgerald. Hai indagato un po' anche in quella direzione? Non è stato una "quinta moglie", in un certo senso?
È stata una relazione difficile da definire e per certi versi ingannevole. Molte persone ritengono che ci fosse una sfumatura di tipo omosessuale, ma per me si trattava soprattutto dello scontro tra due personalità molto grandi e forti che volevano sostanzialmente la stessa cosa, cioè essere il miglior scrittore del mondo. A un certo punto Fitzgerald ha definito se stesso melanconico e Hemingway megalomane e per noi è molto più facile entrare in empatia con un melanconico che con un megalomane.
Resto scettica riguardo a una possibile relazione omosessuale tra i due.

Chi ama Hemingway deve sempre fare i conti con la sua personalità molto spesso respingente, da antieroe e da esempio negativo. Al termine di questo percorso biografico, la tua visione dello scrittore è cambiata? Ti piace di più o di meno?
Sicuramente la mia prospettiva è cambiata nel corso dell'opera. All'inizio lo giudicavo un marito tremendo e mi chiedevo perché le donne gli restassero accanto, mentre alla fine mi sono anche resa conto di quanto è accaduto dopo a queste donne, che si sono comnuque rifatte una vita, mentre lui è rimasto incagliato fino a decidere di uccidersi. È stato uno spreco enorme di talento.
Questo come autrice, ma come lettrice? Leggere ora le sue opere ha lo stesso valore di prima o assume altre sfumature?
La sua opera continua a piacermi, però è vero che aver conosciuto il suo lato biografico mi mette a conoscenza anche dei punti di debolezza della sua scrittura, perché posso vedere che ci sono libri e passaggi che funzionano meno bene, e vado a verificare che magari corrispondono ai momenti della sua vita in cui era in crisi o attraversava un momento buio.
In "Verdi colline d'Africa" scritto nel 1935 Hemingway si rappresenta al centro del libro come uomo molto macho, col grande fucile in mano mentre uccide animali, e questo è una posa molto evidente perché parallelamente il suo matrimonio stava andando in fumo.
Lui e il suo corpo sono comunque sempre al centro.
Hai subito il fascino di Hemingway?
No, alla mia età non vengo più sedottta da questo genere di uomini.
Hemingway aveva bisogno di circondarsi d'amore per la sua vita o per la scrittura?
Penso che siano vere entrambe le cose. Non usava le mogli, ma era molto felice del fatto che tutte loro adorassero la sua scrittura e lo sostenessero anche nel caso in cui non stesse scrivendo il migliore dei suoi libri o i critici lo stroncassero. Sicuramente, come scrittore, ha avuto bisogno di questo fortissimo supporto emotivo da parte delle mogli. Da un lato aveva bisogno d'amore, come tutti noi, ma dall'altro si è anche appoggiato molto alle mogli come se loro fossero il suo editor.
Una persona così irrequieta e con poca stabilità come sopravvive? Secondo te qual'era il faro nella vita di Hemingway?
Credo che il suo faro siano state proprio le donne. Lui ha avuto tantissimi incidenti, vicissitudini che l'hanno portato spessissimo vicino alla morte, e probabilmente il femminile in generale tende ad avvicinarsi di meno al pericolo, forse con l'eccezione di Martha, la terza moglie, corrispondente di guerra come lui. Forse sono state proprio le mogli a mantenerlo vivo e a essere i suoi fari nella nebbia.
Potresti dire che un altro faro nella sua vita è stato l'alcool?
No, perché l'alcool non ha la connotazione positiva che dovrebbe avere un faro. La tendenza a ripetere che aveva con le donne era la stessa che lo portava vicino all'alcool. Si sentiva giù, si sentiva male, quindi per darsi coraggio e infondersi la capacità di relazionarsi o di scrivere beveva, ma alla fine era talmente ubriaco da ricominciare il processo di tristezza e di fase bassa. L'alcool non era un faro ma uno scoglio verso cui andava a sfracellarsi.
Perché neanche una delle mogli ha mai provato a curarlo dall'alcolismo?
Probabilmente si tratta di una questione legata all'epoca: il contesto era differente e sarebbe stato difficile per loro trovare un aiuto. Loro stesse del resto erano bevitrici e non disdegnavano l'alcool. Infine, Hemingway bevitore diventava un ordigno troppo difficile da disinnescare.

La Parigi di Hemingway è più uno stato d'animo che una città reale. Oggi è possibile trovare un posto del genere?
Non lo so. Parliamo della Parigi degli anni Venti, in cui c'era un enorme fermento a livello di sperimentazione letteraria. Era un coacervo di artisti, lì insieme, che vi confluivano per tante ragioni. C'era un cambio monetario molto favorevole, cibo e vino erano buonissimi, potevano tutti avere facilmente un aiuto per i figli, con governanti a basso costo, così tutti questi elementi positivi rendevano favorevole la loro unione. Era un luogo non luogo che psicogeograficamente poteva avere un senso. Ora non so se ci possa essere qualcosa di analogo. Qualcuno ha suggerito Londra, ma io ci abito e posso dire di no... e non fatemi dire nulla sulla Brexit!

Una parte della vita di Hemingway molto significativa per lui è stata segnata il suo rapporto con la Spagna. Dietro alla fascinazione che ha subito da parte della corrida veniva da una certa immedesimazione? Secondo te lui si specchiava nel torero o nel toro?
Questa analogia è molto bella e molto utile per comprendere la sua scrittura. Io parto dal presupposto che lui volesse essere il torero e che questa oscurità elusiva che sfuggiva continuamente lui la vedesse come il toro da uccidere. Gregory, uno dei figli, era stato trovato dallo stesso Hemingway in bagno mentre tentava d'infilarsi le calze della madre. Il padre, che aveva difficoltà a comprendere questo comportamento, scrisse a Pauline, la madre di Gregory, dicendo che il figlio soffriva della stessa oscurità che tutti loro condividevano. Senza dubbio il concetto di toro come oscurità che sfuggiva era molto presente in lui. In principio voleva essere il torero, ma di sicuro verso la fine si sentiva più simile al toro.

Nella costruzione del personaggio Hemingway c'entrava in qualche modo una dose di maschilismo? Torero, pugile, reporter di guerra, bevitore. Un personaggio emblematico di una certa figura dominante di uomo, con le sue donne sempre un passo indietro: i rapporti di forza tra Hemingway come figura di macho e le donne che lo subivano erano un riflesso dei rapporti più in generale tra uomo e donna?
Sì, credo proprio che sia esattamente successo questo. La storia che racconto inizia negli anni venti, epoca nota per il suo liberalismo in tutti i sensi, per il fatto che la società era permissiva: si poteva vivere in tre e avere una relazione, ci si poteva amare tra donne, e quindi ci si chiede come mai lui si ponesse in un ruolo così conservatore e da macho.
Successivamente lo vediamo negli anni trenta a ritagliarsi addosso un personaggio su misura: scrive e pubblica su Esquire, rivista tipicamente maschile, un articolo su "come essere un uomo vero".
La sua potrebbe essere una tipica reazione di fronte alle conquiste ottenute in quegli anni dalle donne e dal femminismo, come il diritto di voto in molti stati. Il desiderio di un maschio alfa dominante poteva essere una specie di contromisura rispetto a questo.
Hilary Mantel afferma che molto spesso quando siamo trasferiti in un'altra epoca durante il processo di scrittura ci troviamo di fronte a fatti e affermazioni che suonano difficili da raccontare secondo la nostra sensibilità contemporanea. Però anche in questo caso io, come ha fatto anche Hilary Mantel, ho scelto di essere estremamente leale e fedele ai personaggi originali, forzandomi anche a scrivere cose per me inammissibili come donna contemporanea, che per loro invece erano ammissibili.

Una domanda sulla tua vita da scrittrice: in quali situazioni ami scrivere?
La notte purtroppo per me non è più disponibile perché ho una figlia molto piccola e seguo un regime piuttosto drastico: vado a letto alle 21 perché alle 5 del mattino lei si sveglia. Però amo molto scrivere appena sveglia, dopo aver bevuto un buon caffé: mi siedo e non mi alzo finché non ho finito.
Sono davvero felice di aver avuto loccasione di incontrare l'autrice di uno dei romanzi più interessanti letti quest'anno, e anche se io sono di parte perchè amo Hemingway e i suoi lavori, non posso fare a meno di consigliarlo a gran voce perchè è godibilissimo e ricco di emozioni.
Grazie a Book Me per questa splendida opportunità!

Un bacio a tutte, fanciulle (e fanciulli)!
A presto <3

Nessun commento :

Posta un commento